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«Ho cominciato a fare arte sin da piccolo, soprattutto disegni: ricordo che disegnavo in continuazione e dappertutto, lasciando le mie impronte anche sui banchi dell’Itis che ho frequentato. La pittura vera e propria invece è arrivata più in là, con la morte di mio padre, e si è sprigionata per colmare proprio quel vuoto che avevo dentro.

Ma d’altronde non poteva non essere così: sono convintissimo che la vita viene dalla morte, perché è dalla morte che essa rinasce e che si rinasce alla vita vera, che è poi quella spirituale e interiore, quella assoluta. E perciò la pittura, per me fonte di vita e coraggio, è nata proprio da quell’evento. Oggi la pittura la definirei non come ‘ispirazione’, ma come ‘respirazione’, come fenomeno del tutto naturale e inevitabile, che mi consente di vivere e dipingere seguendo un ritmo tutto spontaneo, per nulla costruito: seguendo insomma l’euritmia dei greci, l’armonica unione tra la mia mano che dipinge e il quadro che ‘si fa’.

Nei miei dipinti non mi rifaccio a nessun metodo, perché non ho frequentato scuole d’arte: il mio ‘metodo’ è del tutto personale

I primi quadri erano prevalentemente surrealistici: li dipingevo senza disegno preparatorio, facendomi semplicemente guidare dall’istinto; la maggior parte di quei quadri erano scuri o con poca luce, un tratto questo che ho poi sfumato in maniera evidente, visto che oggi utilizzo tantissima luce. I miei soggetti sono frutto delle letture del tutto casuali da cui mi faccio prendere. Sono sempre stato molto ‘anarchico’ nella scelta dei soggetti: mi soffermo su un argomento che mi interessa, e mi documento in lungo e in largo su quell’argomento! A tale scopo, ho letto tantissimo sui cavalieri medievali, le milizie sacre, i templari, e li ho poi idealizzati nei miei quadri (in tutto 6 dal 2004, nda) trasformandoli in un mito personale che risale alla mia infanzia, all’epoca in cui giocavo e fantasticavo con le figure dei cavalieri. Credo fortemente infatti, che noi discendiamo completamente dall’infanzia: è lì che si forma la nostra personalità, che è tutta basata sulla fantasia, sull’immaginazione, senza la quale saremmo solo trogloditi prossimi allo stato bestiale.

Ho cominciato invece a dedicarmi alle nature morte poco dopo gli inizi, per acquisire le tecniche di pittura. Successivamente mi sono affezionato al genere, perché ho capito che spesso le nature morte sanno essere più inquietanti dei soggetti umani: basta spostare di qualche centimetro la loro disposizione, scegliere dei colori diversi, direzionare da un altro punto di vista la luce che le colpisce – o che al contrario le relega nell’ombra – ed ecco che si raggiungono esiti più drammatici, o al contrario più pacati. Per questo nutro per le nature morte una certa ‘simpatia’.»


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